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venerdì 28 dicembre 2012

Sapore di Bosco

Certi giorni mi accorgo di aver bisogno di bosco, qualcosa in me brama quell'abbraccio, voluttuoso e sensoriale d'alberi, arbusti, funghi, sentieri, tracce d'animali, richiami d'uccello, muschi e licheni. Cresciuto vicino ai boschi delle prealpi Orobie il bosco dei pendii secchi ed erti era la mia casa. Sui versanti umidi invece stavano i quieti vecchi castagneti. Poco più in alto il bosco si riempiva di pini, larici e ancora più su i primi abeti in boschi sempre più dominati dalle conifere. Il bosco di pianura è stata una scoperta recente, successiva alla fulminazione per il bosco dell'altopiano del Cansiglio. Fatico ancora a considerare bosco la pineta pura. Manca di molti elementi che io associo al bosco e che cerco, inconsciamente, quando urge una passeggiata, possibilmente solitaria e selvatica, tra i fratelli alberi. Amo il bosco misto, la sorpresa ad ogni svolta di sentiero, le radure circondate da vegetazione di varie altezze, forme, colori e odori. Ora che ne scrivo capisco quanto mi manchi quel particolare odore del bosco maturo.

Ora vivo ai bordi della pianura veneta, dove i fiumi che l'hanno formata (Brenta, Adige, Po) proseguono la loro opera generatrice trasportando detriti sulle coste prima di fondersi con la Mare. Sorpresa, incanto e giubilo scoprire il giovane bosco litoraneo di Ca' Roman, la Pineta di Porto Viro e poi, un tuffo al cuore, il Bosco Nordio. Centotrenta ettari di un bosco unico: una macchia mediterranea di impasto antico con lecci e ornielli, querce farnie e pini marittimi, robinie e pini domestici. E più in basso biancospini, sanguinella, ginepri e ligustri. E ancora asparagi, clematidi, edera, pungitopo, muschi e licheni in fatati paesaggi in miniatura. E' un bosco con un carattere tutto suo, ve ne accorgerete dopo un'oretta di passeggiata. Scoprirete il fondo sabbioso, l'andamento ondulato delle antiche dune che ha colonizzato, una avifauna ricca e differenziata: facile avvistare le lepri, i daini (introdotti negli anni Sessanta), rane, aironi di ogni tipo, colombacci, picchi, ghiandaie, gazze, falchi di palude e, più ardui da vedere, ricci, donnole, tassi, gufi, civette, gamberi di fiume e altre specie ancora.

Lo spirito del bosco qui è antico, nonostante nel Cinquecento sia stato quasi estirpato, è riuscito a rinascere e ora sta maturando. Se riuscissimo a tutelarlo ancora 30-40 anni in modo appropriato potremo riavere un bosco adulto, con alberi vetusti e qualche saggio secolare. Frammento orientale delle vaste foreste di pianura del paleolitico la sua identità viene delineata con lo sviluppo della città di Chioggia che se ne appropria nel tardo Medioevo. Nel 1565 venne venduto alla potente famiglia Nordio. Furono loro a distruggere l'antica struttura del bosco che oggi, ironicamente, porta il loro nome. Nonostante i danni lo spirito del bosco riuscì a riformarsi, approfittando di ogni momento di fragilità umana per lanciare i suoi semi e poloni a riformare fasce di intricata boscaglia. Nel Novecento i Nordio cambiano politica, iniziano a piantare pini marittimi e domestici, probabilmente per frenare il vento salato che flagellava i campi. Nel 1959 fu venduto all'ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali e venne istituita la Riserva Naturale Integrale (1971).

Oggi il Bosco Nordio è gestito dall'azienda regionale Veneto Agricoltura, che regolamenta attività agricole, gestione del bosco, visite naturalistiche. Se non lo conoscete ancora non rimandate una meritevole visita, in ogni stagione. Potrete scegliere una visita guidata contattando Veneto Agricoltura che lo gestisce. Oppure potrete azzardare una passeggiata alle zone coltivate, incorniciate da fasce boscate, che hanno vari accessi pedonali dalla località S.Anna di Chioggia. Questo paesaggio di campi e boschi mi piace molto: mi sembra una prova di come potrebbe essere un paesaggio del futuro. Una integrazione tra lavoro umano e sviluppo selvatico strutturato dentro una ampia visione. Una proporzione profondamente terrestre, e quindi sostenibile, tra costruzioni artificiali e architetture naturali. Strade secondarie sterrate, ritmo quieto, sentieri nel bosco, tripudio di biodiversità in flora e fauna. Un seme di speranza per il paesaggio veneto, stravolto da un'urbanizzazione diffusa e sregolata, perchè possa ritrovare calma, progettualità e vitalità.

Francisco Panteghini
Mediatore Elementare
Riflessioni per lo sviluppo di un paesaggio armonico

Foto e testi di proprietà dell'Autore

martedì 25 dicembre 2012

PERCHE' IL MO.S.E FALLIRA'??

Il MO.S.E. come tutti i Veneti sanno è un'opera, in corso di realizzazione, di difesa costituito da schiere di 78 enormi paratoie mobili a scomparsa che dovrebbero isolare la laguna di Venezia dal Mare Adriatico durante gli eventi di alta marea superiori a 110 cm. Ero studente a Venezia negli anni Novanta quando il progetto veniva discusso pubblicamente e si cercavano alternative. Un amico che studiava Scienze Ambientali, oggi ricercatore all'ARPAV, mi sintetizzò così la sua opinione sul progetto, che conferma tuttora: "questo intervento è stato pensato da ingegneri che credono che la laguna di Venezia sia una vasca da bagno e che basta chiudere i rubinetti a mare per regolare i flussi". E' vero che il MOSE si limita a lavorare sugli effetti di un degrado che nasce altrove, quindi resta una soluzione parziale che rimanda ulteriormente la difficile questione dello sviluppo sostenibile della laguna e della regolazione di tutte le acque a lei collegate, della navigazione.

Ricordo anche il sardonico commento di un mio professore di vent'anni fa: "meglio che costruiscano il MOSE piuttosto che ci si limiti a parlarne. Anche se non lo finiranno gli investimenti porteranno lavoro e benessere a tutto l'indotto". Insomma "piuttosto che niente, meglio piuttosto". Gli economisti e gli imprenditori quindi non potevano che aderire a questo grandioso progetto per il semplice fatto che porta qui in laguna un ingente flusso di denaro e c'è la possibilità di beneficiarne, aderendo al Consorzio Venezia Nuova incaricato della realizzazione. Finora il MOSE e le opere di presunta tutela sono costate oltre 3.200 milioni di euro e ce ne vorranno ancora un migliaio e una cifra non precisata per la manutenzione. Ma agli abitanti della laguna è convenuto davvero quest'opera? Ora che i cantieri sono aperti da 10 anni (iniziati nel 2003) possiamo farci un'idea di come le cose stanno andando e di quali saranno gli scenari futuri.

Cerchiamo di capire innanzitutto se il progetto è valido. L'obiettivo dichiarato è proteggere Venezia dalle inondazioni (acque alte) che aumentano, consentendo allo stesso tempo il passaggio delle navi con apposite conche di navigazione. Perchè aumentano le maree eccezionali? Abbiamo i dati di oltre 120 anni e, come ho già evidenziato in un altro contributo per Azzurro Veneto, sono aumentate sempre più dagli anni Sessanta, proprio quando è stato realizzato il Canale dei Petroli che rappresenta la vera grande ferita aperta nella laguna perchè ha aumentato i volumi di acqua in ingresso e in uscita che scavano senza sosta i fondali bassi. La profondità media della laguna è di un metro scarso e il canale invece raggiunge i 17! Questa voragine crea vortici e risucchia e smuove tutto quello che sta intorno: barene, fondali, fondamenta. E nel canale transitano navi di grosso tonnellaggio che smuovono quantità d'acqua imponenti e insostenibili da un ambiente così delicato come quello lagunare. Uno dei problemi chiave che il MOSE e chi lo sostiene non vuole affrontare è l'aumento del moto ondoso provocato dai mezzi a motore che concorrono all'erosione delle barene e delle fondazioni delle rive e degli edifici. Ci sono troppe imbarcazioni a motore in laguna, il turismo di massa si rivela essere una industria altrettanto "pesante" del Petrolchimico di Marghera.

Le maree sono influenzate dalla quantità di precipitazioni, dagli afflussi di acqua dolce dai fiumi e canali (ben 36) che sboccano in laguna che può sommarsi all'effetto della pressione atmosferica e all'azione dei venti di bora (vento di nord-est che proviene da Trieste) o di scirocco (vento caldo di sud-est), che spingono le onde nel golfo di Venezia. Altro fattore chiave per comprendere il quadro complessivo e valutare l'efficacia dei progetti di salvaguardia è la subsidenza, cioè l'abbassamento del suolo lagunare di quasi 12 cm negli anni '50 - '70 del secolo scorso causato soprattutto dall'enorme quantità d'acqua estratta in quegli anni per uso industriale a Marghera. A questo si somma un aumento del livello medio del mare di circa 26 cm negli ultimi cento anni, con un'accelerazione dagli anni Settanta a causa del riscaldamento globale. Quindi stiamo parlando di un fenomeno molto complesso di deterioramento ambientale in gran parte riconducibile alla civiltà industriale che abbiamo diffuso in tutto il globo dagli anni Sessanta in poi.

Da questa semplice analisi cominciano a emergere tutti i limiti dell'opera. Ricordiamoci anche che l'acronimo Mo.S.E. sta per "modulo sperimentale elettromeccanico". Cioè in altre parole noi stiamo facendo un esperimento che costa 4500 milioni di euro e che ha intaccato e alterato km di coste e ha già alterato le correnti con effetti imprevisti di erosione delle spiagge, fonte di preziosa ricchezza a Jesolo come a Chioggia Sottomarina. Un esperimento che è figlio di una visione parziale e meccanicistica che è sotto assalto in tutti i campi del sapere mentre emerge un nuovo paradigma energetico e dinamico. Un esperimento che, se verrà completato con successo (e non ne siamo certi), potrà ridurre le acque alte ma non gli altri fenomeni di subsidenza, erosione causata dal moto ondoso e innalzamento globale. Venezia dovrebbe essere la capitale mondiale delle politiche di tutela del clima perchè è la più illustre vittima del suo deterioramento.

Ci vuole coraggio per sostenere una visione così difficile e ampia, bisogna anche accettare la continua trasformazione dell'ecosistema e la caducità delle opere umane. Come possiamo pensare che Venezia sia un bel museo sotto vuoto? Se una parte lentamente affonderà altre verranno costruite, come fu per Aquileia e poi Torcello. Ma c'è ancora abbastanza forza nelle genti e nella cultura unica che la laguna ha cullato? O sono forse ormai più i forestieri, i turisti distratti e gli affaristi spietati? La tutela della laguna passa innanzitutto nell'accettare che è viva e che se vogliamo vivere con lei dobbiamo elaborare stili di vita, tecnologie e attività economiche compatibili con questo meraviglioso ecosistema che non può essere separato dal mare e nemmeno dalla rete di canali e fiumi che sono l'eredità vitale della cultura di governo della Serenissima. Ora che l'egemonia di Venezia è tramontata è importante recuperare una dimensione condivisa a tutte le genti della laguna e rompere il vecchio predominio dello "sviluppo ad ogni costo" che ci ha lasciato in eredità le discariche illegali e inquinanti di Marghera e un porto che per vivere uccide la laguna.

Francisco Panteghini
Mediatore elementare
Consulenze di ecologia olistica